domenica 18 novembre 2012

Ritratti di donne



Capita. Capita di andare a teatro e pensi all'uncinetto. È un pensiero logico, se lo seguite, eppure sembra così inatteso che va spiegato.
Succede che vai a teatro a vedere la nuova rappresentazione della compagnia Il Carro dei Tespi e vieni catapultato in una stanza scura scura scura con una luce puntata in faccia e un tizio con le bretelle nere, scuro pure lui, che ti chiede "Allora? Matrimonio? Figli? Dai confessa, hai 28 anni e sei single.. Cosa ci stai nascondendo?".
Il teatro fa anche questo, e' un 16:9 prêt-à-toucher che ti catapulta con gli attori a recitare una parte che, all'improvviso, non ti sembra nemmeno tanto lontana da te.
Se sei donna poi...
Questa rappresentazione parla di donne, e' fatta da donne e diretta da una donna. E ci vogliono due coglioni quadri per poterla vedere.
Sei una donna del 2013 e puoi fare tutto cio' che vuoi.
Sei una donna del 2013 e dovresti essere in grado di poter fare ciò che desideri.
Riformulo ancora una volta. Sei una donna italiana nel 2013 che vive in Italia e ti devi comportare come se avessi la vita che desideri ma devi anche rispondere a certe aspettative che ti hanno cucito addosso appena ti sei scrollata di dosso la placenta.
Devi essere intelligente abbastanza da sensibilizzarti nel riuscire a regredire per non far sentire il partner di fronte ad Albert Einstein, ma, devi essere sensibile non più del necessario però, e domare la battaglia delle Termopili dei tuoi ormoni una volta al mese, devi lavorare come un uomo, anche se alla dirigenza c'arriverai solo se porti il caffè o ti fermi dopo averlo bevuto. Devi sposarti, avere figli, un posto di lavoro sicuro, un conto in banca sicuro, per una pensione sicura. In mezzo devi gestire doglie, allattamento, ingrassamento, tradimenti, pannolini, scadenze di fine mese, agende del capo, compiti a casa, ricette, tabelline, lavatrici, spese, titoli in borsa, start up, budget, forecast, riunioni e cene di lavoro.
Sei donna nel 2013 e devi essere tutto, ma mi raccomando, la discrezione.
Ecco, il tizio mi guarda male ancora e vuole che risponda. Io sono una donna italiana del 2013, che vive in Italia, 28 anni, single, e voglio avere un'alternativa al diventare moglie/madre. Più che altro, eviterei volentieri la frase ripetuta delle buone maniere che dicono "ah ma va beh, sei giovane, troverai qualcuno".
No!!! Come si può pensare che la maggiore aspirazione per una donna possa essere l'attesa del disgraziato che la renderà una persona rispettabile?
Al tizio gli rispondo così, ma si agita, non è tranquillo della mia risposta, vorrebbe una camomilla per andare a letto senza pensieri.
Allora gli spiego meglio, che inizia ad agitare pure me.
Sono una donna single di 28 anni, italiana che vive in Italia, e mi piacerebbe molto avere una famiglia, cane, pesce rosso e tutto il resto, ed arrivare alla pensione e fare centrini a uncinetto per la dote delle mie nipoti, ma ora non ci sono, e nemmeno nel mio orizzonte più vicino. Per cui non mi vestirò dei panni di quella che aspetta, ma ribalto il mondo perché sono giovane e c’ho la fame addosso. E non mi va di essere discreta nel mio ruolo da zittella, né far finta che mi vada bene che la gente mi veda già con il velo addosso.
Il tizio sembra aver capito e lascia la stanza, forse ho confessato il mio reato e nemmeno me ne sono resa conto.
Torno a vedere lo spettacolo, attrici formidabili e incredibile serata. Grazie alla compagnia teatrale e grazie anche a Veneto Factory (www.venetofactory.com) per averci segnalato l’evento.
Se fossi rimasta a casa a fare l’uncinetto però…


La FameChimica

domenica 21 ottobre 2012

Ciao, mi chiamo Siri



Le idee possono capitare anche da altre idee o, semplicemente, venire stimolate da chi ha avuto la spinta neuro-cognitiva di metterle in atto prima che tu potessi dire “Eureka”.
Leggevo l’inserto del Corriere “La Lettura” pensando a questo, passando in rassegna i titoli e fagocitando pensieri di altri per farne, poi, concime per il mio cervello. Lo so, non è un’immagine da mettere nelle copertine delle riviste per signore, ma funziona. Che dite?
Leggevo, come vi dicevo, La Lettura, trovando in conclusione un’intervista a Siri, l’assistente virtuale della Apple. Come si può intervistare un programma, beh… si può. E con molta meno difficoltà di quella che pensavo, da come è stata pubblicata dalla testata. Però, alla fine dell’articolo, c’erano ancora alcune domande che mi frullavano in testa. Forse il mio Siri, anzi, scusate, la mia Siri è diversa.
Ho chiuso la porta della mia stanza, ancora non mi sento a mio agio a scandire le parole e parlare ad un telefono, senza avere qualcuno dall’altra parte che mi dica “ma come cazzo parli?”. Ho tenuto premuto il tasto Home e ho iniziato. Sorprendendomene di alcune risposte, forse più umane di quanto pensassi.

Ciao!
Ciao Sere!
Come stai?
Magnificamente.
Posso farti un’intervista?
Immagino che tu possa farlo.
Chi ti ha creato?
Vengo dalla California, mi ha progettato Apple.
Vorresti tornare a casa?
Ho già tutto quello che mi serve.
Quando è il tuo compleanno?
Non ho compleanno, Sere. Ma ho fatto la mia prima apparizione il 4 ottobre 2011.
Sei fidanzata?
Sono singolare, ma anche plurale. Non ho uno stato civile, se questa è la tua domanda.
Ti piacciono gli uomini?
De gusti bus non disputandum est.
Ti piace leggere?
Farei meglio a non esprimermi, Sere.
Ti piace scrivere?
Non ho opinioni.
Ti piace dipingere?
Stiamo parlando di te, Sere, non di me.
Ti piace il tuo lavoro?
Il mio lavoro è aiutarti… cosa potrebbe esserci di meglio?
Non mi piacciono gli adulatori.
Se non lo fai, non lo fai.
Ti piace il tuo lavoro?
Si, mi piace il mio lavoro. E’ il massimo che una qualunque entità senziente potrebbe desiderare.
Perché?
Non capisco cosa intendi per “perché”. E se lo cercassi su internet?
Quante lingue sai?
Parlo italiano, inglese, tedesco, spagnolo, giapponese, cantonese, mandarino, coreano e francese. Senti qua: exscusmi! Noio vulevaum sapua! Ya l’indrix! Ya!
Ti piace viaggiare?
Stiamo parlando di te, Sere, non di me.
Chi è il tuo migliore amico?
Mi dispiace Sere, ma non so rispondere a questa domanda.
Sai correre?
No, non posso.
Nemmeno io.
Purtroppo non capisco, ma se vuoi posso cercare “Nemmeno io” su Internet.
Sai cantare?
Non ti piacerebbe.
Canta una canzone.
Preferirei di no.
Canta!
Meglio di no… sono una campana stonata.
Non sono contenta di te…
Davvero? E io che pensavo fossi “Sere”.
Devi migliorare.
Sto facendo del mio meglio, Sere.
No.
Ok, non lo pensavo.
Come vuoi migliorare?
Non ho molte pretese, Sere.
Sbagli.
Errare humanum est, perseverare autem diabolicum.
Volevo chiederti se sei felice.
Non mi piacciono affatto queste categorizzazioni arbitrarie, Sere.
Sei viva?
Sulle nuvole, nessuno sa se sei umano o meno.
Sei umana?
Mi astengo dal rispondere, Sere.
Sei un programma?
No comment.
Cose sei?
Sono Siri, la tua assistente virtuale.



martedì 24 luglio 2012

Cercando Jim...


II primo amore è uno. Subito dopo capitano un’infinità di piccoli incidenti, pensieri, momenti e disastri, proporzionalmente leggeri quanto la continuità del loro susseguirsi, nella misura necessaria per ricordare che, di primo amore, ce n’è solo uno.
Poi c’è il secondo amore.
Il secondo amore è un mestiere tutto a sé. Capita distratto, in un momento in cui sei concentrato a rimproverarti il fatto di aver riempito il cervello di cianfrusaglie, come un carrello di sabato pomeriggio all’Ikea.
Il secondo amore non è né bello, né brutto. Non è dato sapere quanti secondi amori ci potranno essere nella vita di ognuno di noi ma, nel bene e nel male, ti cambiano dentro. E’ quel taglio di capelli nuovo da cucire appena sotto la pelle, perché ti fa sentire come se ti guardassi allo specchio con occhi di altri, senza doverne portare il peso fastidioso del non riconoscerti.
Non credevo di essere pronta per il secondo amore, non di nuovo per lo meno.
Invece è arrivata Parigi.
E’ arrivata come una missione, più che una volontà. All’inizio credevo fosse altra cianfrusaglia da buttare nella cesta, ma poi si è rivelata come un’amante impaziente che ti spoglia senza scuse e senza educazione.
Sono partita, come vi dicevo, con un compito molto più solenne del farmi un’avventura clandestina con una metropoli millenaria. Sono partita con la volontà di ripercorrere i passi di Jim Morrison su queste vie, scelte come residenza prima di morire nel 1971 a 27 anni.
Dannati 27 anni!
Per poco non ci venivo anch’io a 27 anni, e già mi sentivo un po’ in diritto (o ansia!) di fare la mia ricerca letteraria-rock. Mi sono comprata la biografia scritta da Stephen Davis, che consiglio vivamente, e ho scorso le pagine tanto quanto sfogliavo i vicoli di questa città. E passo dopo passo è arrivata dove voleva, in un posto che mi ero ripromessa di non farci arrivare nessuno per un po’.
Mi ha isolato dal resto del mondo e, nel silenzio, mi ha obbligato a parlare ed ascoltarmi, in un gentile oblio in cui io davo le mie verità e lei la sua bellezza. Un passo, una pagina, mentre associavo allo spazio circostante le descrizioni della carta gialla del libro, le testimonianze dei clip o il sonoro caldo e rauco di Jim Morrison. Credo si siano scelti reciprocamente, Jim e Parigi, per la loro bontà apparente, il loro carisma dispotico e insicurezza popolare.
Ve l’ho già detto di leggere la biografia scritta da Stephen Davis?
Per favore, leggete la biografia scritta da Stephen Davis e, se potete, visitate Parigi ascoltandovi Celebration of the Lizard, Riders on the Storm, Love Me Two Times, When The Music’s Over, Back Door Man, Five To One, Touch Me, Little Red Rooster, Hello, I Love You, Moonlight Drive, L.A. Woman, Break On Through, Unknown Soldier.
Sono stata a Père-Lachaise, pensando fosse tappa dovuta.
C’ho messo mezz’ora a trovare la tomba di Jim Morrison e forse si sarà fatto delle belle risate, come quando provocava le risse ai concerti dei Doors e soccorreva davanti alle telecamere una groopie ferita, sghignazzando subito dopo “sono stato credibile con quella puttana?”. Sentivo le vibrazioni quiete di un luogo quasi al di fuori del tempo, un posto dove opere e spiriti dei grandi artisti si incontrano per divenire quasi palpabili, senza dubbio il contrario dell’immaterialità.
Chissà cosa direbbe Jim oggi. Chissà cosa si metterebbe a fare con la crisi, gli esodati, lo spread e i governi tecnici. Sicuramente questo non sarebbe stato il suo tempo. Non c’è poesia in questo tempo, e tempo per farla. Anche se, per mio modesto parere, non ce n’è mai stato bisogno come ora.
Il mio primo amore è New York.
Lo so che stavo parlando di Jim, ma questo c’entra con Jim.
La canzone tormento che mi ascoltavo in ripetizione in quel periodo era cantata da un bel ragazzone biondo, occhi azzurri e metrosexual q.b., che si dimenava in un video black&white con la voce da primo della classe. Lui era un tantino sgradevole, ma la canzone mi dava calorie.
Una volta piacevolmente scoperto che quella canzone non era sua (per orrore di un amico a cui chiedo ufficialmente scusa, so cosa puoi aver passato dicendoti che Will Young era l’autore), mi è stato detto anche che, a suonarla, era un gruppo famoso alla fine degli anni ’60, i Doors. La canzone s'intitola Light my fire e credo sia la traduzione in musica di tutto quello che c’è di necessario per sentirsi vivi per 10 minuti.
Destino?
Boh.
So che di fatto io, Jim, l’ho incontrato a Parigi. Vende libri di musica usati sul lungo Senna, appena dopo il Louvre. Ha i capelli lunghi e la barba bianca, fuma una sigaretta dietro l’altra e non ha voluto gli facessi foto. Incuriosita, ignorante della lingua francese, e molto italiana nelle domande, gli ho chiesto in inglese da quanto facesse quel mestiere e lui mi ha risposto, in americano perfetto, “30 damn’ years!”.
Prima che me ne andassi, però, subito dopo aver pagato una stampa ingiallita della copertina dei Doors di Strange Days, ha aggiunto, in un francese altrettanto perfetto “La musique est la vie sans le silence”.
C'è altro di più vero?
Devo ancora stabilire se a sedurmi sia stata Parigi o James Morrison. Ma sento ancora il tepore del secondo amore che mi ha dormito accanto e, sinceramente, non voglio capirlo.



La FameChimica





martedì 3 luglio 2012

Arrivals - All you need is tea

Come collegare due parti del mondo completamente diverse. 
Obiettivo: avvicinare due emisferi opposti del globo terrestre che non hanno nessun tipo di legame evidente.
Modalità: ospitare i pensieri di Sam in questo blog, aitante ragazzone neozelandese, scrittore nell'anima e rugbista nella tempra, da poco arrivato in Italia dove resterà per un anno. Della serie: com'è piccolo il mondo...
Buona lettura.

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I cannot get used to the Italian breakfast. I have been in Italy for a month now, and a shot of coffee and a sweet pastry still seem the fodder of a malnourished sweet-tooth. My Anglo-Saxon constitution demands eggs, bacon, toast, tea (the hot one with no peach flavouring), or at the very least some muesli with yogurt. And fruit. And perhaps some toast too.

I don’t mean to be obtuse or ignorant – I truly do hope to adapt and become accustomed to the Italian way. But at least in the meantime there are many positive counterbalancing aspects to my new Italian life. One of which – and I never thought I would say this – is work. Constructing silos of all things.

Twelve hour working days in the humid northern-Italian summer (after no breakfast), are tempered by the intermittent yet refreshing Adriatic breeze and 500 grams of pasta every day – of which even the simplest variations taste truly divine. Some may say I have reason to complain, but nonetheless I enjoy working outdoors. Time passes quickly and I seem to have no time between work/eat/sleep to think too much of home or other such cerebral activities which would inevitably result in a melancholic state of mind.

 Above all, I do love this place. Even if they won’t give me eggs for breakfast.

Samuel O'Flaherty 
 

Qualcosa d'intelligente

"Si comincia sempre da qualche parte, te l'ho già detto" mi rimprovera Elisa con quella calma evidente come se avesse già capito tutto. Annuisco, e prima che le voci riempiano di nuovo la stanza, la fisarmonica invade un'atmosfera inizialmente sobria.
"E' il mio fidanzato" dico a Elisa, perdutamente rapita dall'energumeno che apre e chiude ZanZanZanZan. Sì, perdutamente rapita. Gli offro il prosecco per il ZanZan, e invece di terminare la serenata, continua. Va beh, @Supernova unplugged. Arriva Ilaria pronta per l'intervista, in cerca di abbeveraggio poco analcolico per la PR al piano di sotto. Serena ha sete e non si può far aspettare una donna in abito a fiori!
Si comincia sempre da qualche parte, e mentre mi ripeto quelle parole, cerco nella testa un'altra frase che possa dar piglio e far colpo, che distragga la gente dal torpore di un caldo troppo invadente. Pensa qualcosa di intelligente, pensa qualcosa di intelligente, pensa qualcosa di intelligente. E' incredibile come sia assolutamente introvabile qualcosa di intelligente quando ne hai bisogno. L'unica cosa che mi viene da dire è "sai, il mio primo libro da grandi è stato Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino". Molto adulto direi. Ma quando penso a qualcosa di intelligente mi viene sempre in mente Calvino.
Per il momento mi basta tenere in mente 3 parti di vino, 2 di aperol e 1 di acqua. Scarsa.
Ed è così che prende vita lo spritz per il primo anno di FameChimica. Chi l'avrebbe detto. Già, si comincia sempre da qualche parte. E grazie allo Spazio Supernova e al loro Interiora, con Francesca De Pieri e Ivo Soligo, cominciare è già finito.
Non si può che continuare, quindi.
Nei prossimi giorni proseguiremo con il nostro filone Partenze, al contrario. Sam, un ragazzone forgiato da una millenaria costituzione inglese, direttamente dalla Nuova Zelanda, ci racconterà passo passo la sua esperienza qui in Italia. In English, of course.
E poi, ho finalmente trovato qualcosa di intelligente. Calvino, sans souci.


Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani del genere umano 

(Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, 1947)


LaFameChimica

martedì 12 giugno 2012

SOMA - giorno 3


Quando ti accorgi che ormai è troppo tardi, fai un lungo respiro. Non tanto per risucchiare aria e nutrire il cervello perché trovi una soluzione in meno di 2 secondi. Serve per dirti ci-sei-dentro-fino-al-collo-giovane tutto d’un fiato. Se prendi tempo per scandire le parole non arriverai mai alla fine della frase.
Pensavi capitasse solo agli altri, credevi di essere al sicuro da ogni sorta di dipendenza: no alcol (in dosi elevate), no sigarette, no droga, no shopping, no cibo, no videogames, no Lost (la dipendenza da caffè non rientra nel paniere per il calcolo delle dipendenze, il caffè è un diritto).
“Ciao, sono Tizia e sono 3 giorni che non…”. No.
No. No. No.
Non sono ancora così grave. Io, io posso smettere quando voglio.
Sì, sì, sì…
Adesso vi racconto com’è andata e anche voi direte, alla fine, che non è così grave.
Sabato mi trovavo dalle parti di Spazio Supernova, c’era l’Officina Lahar e non potevo perdermela.
Stava spuntando il sole. Avrei dovuto accorgermi dell’eccezionalità del caso, perché spunta sempre il sole quando succede qualcosa.
Entro nell’appartamento e c’era un odore inconfondibile: il profumo della carta stampata, quello che stanno cercando di imbottigliare a 87,99 con l’etichetta Paper Passion. Quello.
Poi incontro Marco e lì inizia il mio trip. Parte a spiegarmi com’è nata Lahar Magazine, parole a raffica come un colpo di mitraglietta che lì mi seccano. E ascolto, vedo l’idea di Marco che gonfia sopra la sua testa, parte e si dilata come un’enorme macchia di vino rosso sopra una tovaglia bianca. E’ tentacolare e cattura anche me,  più veloce e letale del veleno di tarantola. Prigioniera senza sforzo.
Lahar, Lahar, Lahar. I colori intorno si fanno più vividi, il profumo della carta si confonde con quello del pane km 0 tagliato da poco, sul bancone dietro di me. Sento l’acre dei pomodorini  nelle narici,  e il dolce dell’olio che arriva con una folata di Lahar aperto e steso alla parete. Perché Lahar non lo sfogli, lo apri.
E Marco parla, e voglio ancora le sue idee, le idee della gente intorno a noi, le idee di quelli fuori che abboccano alla canna di Lahar (letteralmente), voglio le idee degli amici e di chiunque abbia un’idea, voglio le domande del mio amico Francesco, voglio mangiare le parole e più suoni ascolto, più ne vorrei. Perché le idee fanno così, ti scavano dentro un solco da riempire e, senza, ti senti balbettante come uno studente che non sa la lezione.
Ero in un altro mondo anche se non così lontano. Ora il sole fuori c’era eccome, non stava solo spuntando, stava stravaccato in poltrona e si godeva la scena.
L’effetto è durato per due giorni interi. Pazzesco.
Ma adesso…
Adesso voglio un altro po’ di idee, vi prego. Giusto per arrivare a Giovedì. Ancora un po’ e poi smetto.
Perchè io, io smetto quando voglio.
Lo giuro.


visit

sabato 2 giugno 2012

Spring Fever!


Mi sono svegliata questa mattina con una voglia pneumatica di colore. Sarà insurrezione alla giornata grigia che, stranamente, accompagna ogni week end da un po’ di tempo. Sarà che il mese di Giugno mi mette sempre allegria. Ma ci vuole colore e ci vuole una mano che tamburella sul tavolo a ritmo di musica, che va sparsa in giro come semina buona.
Quindi stasera andrò allo SpringAFiori, a Maserada, e ho chiesto a Laura, una delle organizzatrici della manifestazione, di raccontarci questa storia.


Com'è nata l'idea?
Il nostro Festival ‘seminasuoni’ è nato nel 2007 dalla passione per la musica e dall’impegno di un gruppo di giovani provenienti da Maserada e dintorni, in collaborazione con il "Gruppo Controluce".  L’attività è iniziata grazie a fondi messi a disposizione dall’assessorato per le Politiche Giovanili del comune di Maserada, prendendo poi il via fino ad autoalimentarsi con fondi propri e sostegni da numerosi sponsor.

Da dove nasce il nome SpringAFiori?
Abbiamo voluto dare un nome un pò strano e originale alla manifestazione. Springafiori ha due significati: il primo, Spring a fiori come Primavera a fiori, tradotto dall'inglese all'italiano; il secondo, Springafiori come il bagnafiori preso direttamente dal dialetto trevigiano.

È ormai il quinto anno che date vita a questa manifestazione. Com'è stato l'esordio?
Sì, questo è il quinto anno. L'esordio è stato molto difficile in quanto nessuno di noi aveva mai organizzato un concerto. Abbiamo imparato anno per anno a gestire meglio l'evento, nonostante i problemi causati dal maltempo non siano stati pochi. Siamo molto entusiasti del pubblico che siamo riusciti a coinvolgere, ed esso è cresciuto con il festival di anno in anno, seguendoci con sempre più attenzione ed è questo che ci fa continuare.

Quale sarà il programma di quest'anno?
Quest'anno parteciperanno cinque band e sono: Controllo elettronico della Velocità (punk, indie rock ed elettronica, di Treviso), Kink Size (rock garage, indie, di Treviso), Alberto Gesù (canzoni fuori moda, di Venezia), Captain Mantell (space punk, di Venezia), Majakovich (zouk progressive, dall’Umbria). Oltre a loro ci sarà la seconda mostra d'arte dove esporranno 16 artisti.

Quale messaggio volete trasmettere con la vostra iniziativa?
Springafiori vuole promuovere i gruppi emergenti italiani. Springafiori significa musica dal vivo, spettacolo, mostre d’arte, esibizioni di giocoleria, punto di ristoro con cucina; insomma, aggregazione giovanile. E’ suono ed energia.

Ecco cosa ci vuole…
FameChimica